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Psyco

1960 Alfred Hitchcock

(Psycho)

 

Trama

Una bella impiegata ruba quarantamila dollari e fugge. Cambia la macchina, si trova nel mezzo di un temporale e decide di passare la notte in un motel. Il proprietario è Norman, all'apparenza un ottimo ragazzo che manifesta soltanto qualche piccola stranezza, come quella di impagliare uccelli. Il motel non ospita nessun altro cliente. La donna decide di fare una doccia prima di dormire. Sotto l'acqua viene aggredita e uccisa da un'altra donna, che si intravvede appena. La mattina Norman scopre il corpo. Sconvolto fa pulizia, mette il cadavere nel bagagliaio e fa sparire la macchina nelle sabbie mobili. Sconvolto perché sa che l'assassina è sua madre, che è patologicamente gelosa del figlio e non sopporta neppure che parli con altre donne. Un investigatore privato, con l'aiuto del fidanzato della donna uccisa, riesce a risolvere la matassa, anche se ci rimette la vita.

 

Il cast

Anthony Perkins

(Norman Bates)

Janet Leigh

(Marion Crane)

Vera Miles

(Lila Crane)

 

Una recensione

Psyco comincia con una panoramica tra le più banali della città di Phoenix in Arizona; poi la camera inquadra due amanti. Non si possono sposare perché lui è pieno di debiti. La ragazza torna in ufficio. Una didascalia ci dice che siamo in un certo mese, e il giorno è venerdì. Il che significa che le banche saranno riaperte soltanto il lunedì successivo. Colta da una sorta di «raptus», la donna innamorata si impadronisce di ventiquattro milioni, riscossi dal suo principale per una villa (la giovane ha avuto l’incarico di portarli in banca..) e fila verso l’amante. Che nessuno conosce a Phoenix e che è commesso in una lontana bottega di un paesotto fuorimano. Essa, che ha il nome piuttosto comune di Marion, confida dunque nell’impunità; quando si accorgeranno del furto, il lunedì successivo, sarà nascosta in campagna, felice, sposata e lontana da ogni ricerca della polizia.
Una vicenda come tante, un po’ malinconica, tanto è vero che subito lo spettatore simpatizza con la fuggitiva. Che, badate bene, ha rubato a un tipo detestabile (il cappellone dell’anziano compratore è più che sufficiente a suggerire una certa bestialità esistenziale...) e ha rubato non per sé, ma per amore, per sposare l’essere amato e regolarizzare la sua posizione. Ma ecco che un poliziotto, insospettito dal fatto che Marion s’è addormentata in macchina, la interroga. L’uomo ha gli occhiali neri e non è, secondo la caratteristica ideologica del regista, che un’immagine fatale, la presenza della Grazia nella vicenda privata del protagonista. È Dio che le fa un piccolo segno dicendo: «Marion, hai sbagliato, ma fai ancora in tempo a pentirti e a riparare. Volta la macchina e torna indietro».
Marion da principio non obbedisce, anzi cambia l’auto rimettendoci settecento dollari; poi sbaglia strada e chiede ricovero, sotto la pioggia scrosciante, a un motel senza clienti. Qui incontra Norman, il padrone del motel; un ragazzo simpatico, solitario, gentile. Sotto l’aspetto innocente, Norman nasconde una gravissima malattia: è uno psicopatico, la cui personalità è andata da tempo in frantumi. Norman uccide Marion, che ha ormai conquistato la salvezza dell’anima, e ha deciso di restituire il denaro. L’episodio della conversione della protagonista appare come una delle pagine più alte del film: l’orrore si sposa alla tenerezza, l’ineffabile prende nella nostra anima il luogo lasciato libero dal delitto. Raccomandiamo alle «anime belle», scandalizzate dalle pugnalate di Rocco e i suoi fratelli, le coltellate che troncano, sotto la doccia, la giovane vita di Marion. Saremmo lieti, malignamente lieti, di conoscere la loro opinione. Verità al di là dell’Oceano, falsità di qua, come suggeriva Montaigne? Psyco, ecco perché non è un film banale, un’opera grandguignolesca, propone dunque con sincerità e coerenza una problematica della salvezza attraverso i meandri bui e incerti dell’esistenza più comune. Il personaggio centrale del film non è certamente Anthony Perkins (la cui interpretazione dello psicopatico è addirittura incantevole...) ma Marion, personaggio sano e normale. Hitchcock, inglese ed educato dai gemiti, dà sempre nelle sue pellicole un giudizio sulla vita americana, e insomma sulla finale moralità del successo e del denaro. Marion è un personaggio che commuove perché la sua verità è quella dell’amore. Lo psicopatico è «l’altro da sé», la cui alienazione Hitchcock, forse un po’ frettolosamente, secondo uno schema psicanalitico da rivista dozzinale, attribuisce al trauma per il tradimento della madre che, vedova, s’è accoppiata con un uomo sposato..., un personaggio dunque che è già di un altro mondo, di una diversa realtà anche se, disgraziatamente, è ancora in grado di fare il male.
Un altro tipo su cui si appunta l’attenzione del regista è il fidanzatoamante di Marion, un uomo leale, non fortunato che, inevitabilmente, si affeziona subito alla sorella della scomparsa. Ma non si tratta di un personaggio tipicamente hitchcockiano, che sarà riconoscibilissimo invece nell’agente privato incaricato di ricuperare i ventiquattro milioni inspiegabilmente scomparsi. Anche qui, quasi distrattamente, fa capolino il giudizio su un certo comportamento della società USA. Si tratta, abbiamo detto, di un agente privato. Al principale di Marion non interessava affatto il fallo della ragazza, ma il ricupero dei quattrini. Come a suggerire che in una civiltà prona alla morale del successo ciò che conta non è il mezzo ma il fine. Se Marion ce la fa, se riesce a nascondersi in un posticino fuori mano, essa è una «dritta» cui bisogna fare tanto di cappello. Tanto, si sa, i soldi piacciono a tutti.
Marion è diversa. Intanto bisogna stare attenti alla sua caratterizzazione fisica. Il regista, questa volta, non ha scelto una bellezza aristocratica, conie faceva ai tempi di Grace Kelly, o una splendida creatura come ha fatto di recente con Kim Novak, protagonista de La donna che visse due volte. Ha scelto Janet Leigh, una donna non più giovanissima (è la moglie di Tony Curtis), celebre alcuni anni fa, ma ora sul declino. Probabilmente Hitchcock ha ricordato l’ultimo film di Orson Welles, L’infernale Quinlan, in cui c’era una sposina che faceva una pessima esperienza. La sposina era raffigurata da Janet Leigh. Perché dunque questa scelta? Perché tanto Grace Kelly che Kim Novak sono bellezze eccezionali, mentre Janet Leigh (che, ricordiamolo, ha in Psyco la parte di un’impiegatina), dev’essere una donna attraente ma non troppo. Magra, elegante, un po’ sciupata, Marion è proprio la ragazza che, stanca d’attendere, s’è concessa a un amore illecito; ma che, nello stesso tempo, è ansiosa di normalità, di nozze regolari e di complimenti per la buona scelta da parte del parentado.
Ci sono due momenti illuminanti nel film, a questo proposito. Uno riguarda la scelta dei luoghi e l’altro un breve momento nella prima parte della vicenda. Hitchcock ha capito che il modo migliore di conferire risalto alla tragedia di Marion era quello di sottolineare la mediocrità, e quasi
l’umiltà, delle sue ambizioni. L’ambiente meschino, comune della città da cui fugge trova un contrapposto nella banalità del paesotto in cui essa cerca un rifugio e nel quale non arriverà mai. L’amante è infatti commesso in un negozio di ferramenta, un tipo che sta a metà tra il cittadino e l’uomo di campagna. Marion dunque portando i milioni all’innamorato, che ne ha bisogno per liberarsi dell’exmoglie, sa benissimo di andarsi a imprigionare in una residenza ancor più spiacevole di quella da cui è appena fuggita. Ancora. Come abbiamo detto prima, Marion, che s’è addormentata in auto, viene sospettosamente interrogata da un poliziotto motociclista. Cambia macchina, eppure ha visto che il poliziotto la segue. Perché dunque sciupa settecento dollari nell’auto nuova?
Crediamo che i lettori non ci accuseranno di eccessiva sottigliezza se sosteniamo che in questo momento, mentre è inseguita, Marion non è meno alienata del padrone del motel che è destinata a incontrare di lì a non molto. Si tratta, dunque, di un incontro fatale, perché la giovane donna ha sbagliato addirittura strada. Ostinata nel fuggire con i milioni, Marion si pente soltanto dopo l’incontro con l’uomo del motel. Il poveretto le mostra gli animali impagliati, le parla della madre inferma, del suo albergo senza clienti perché la nuova autostrada ha deviato il traffico. Egli è solo come non si potrebbe essere più soli. La malattia dell’assassino è la salvezza spirituale di Marion. Essa comprende che, pur vicina all’uomo amato, essa non sarà felice. Conviene restituire i quattrini e attendere qualche anno sino a che i debiti di «lui» saranno stati pagati con onestà. Perciò, con i mezzi del grandguignol, Hitchcock non ha fatto che descrivere un dramma antico, il dramma della solitudine.

Guido Fink, Cinema Novo, 1960

 

Il trailer (mp4)

Un video promozionale (mp4)

La scena della doccia (mp4)

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 23/04/2011 - Per suggerimenti e contributi: E-mail